Spending Review in Sanità

 

Con sentenza n. 7962/2018 il Tribunale di Milano ha riconosciuto il diritto delle strutture sanitarie, pubbliche e private, ad ottenere il pagamento delle prestazioni sanitarie rese nell’anno 2011 e ritenuto non legittime le decurtazioni che la Regione aveva operato in applicazione retroattiva (appunto per l’esercizio 2011) di una legge del 2012 (n. 135 del 7.08.2012) che aveva previsto la c.d. “spending review”.
La decisione predetta, che si segnala per la rilevanza generale che riveste, è motivata in modo ampio e si fonda su una rigorosa applicazione di regole e principi generali del nostro ordinamento.

TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO – SEZ. I CIVILE – DOTT.SSA LORETA DORIGO
Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Loreta Dorigo
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 47589/2015 promossa da:
F*** (C.F. ****), con il patrocinio dell’avv. MANGIA ROCCO e dell’avv. RICCI RAFFAELLO […]
ATTRICE
contro
ASL *** ORA ATS *** (C.F. ***), con il patrocinio dell’avv. MORETTI PAOLO […]
REGIONE *** (C.F. ***), con il patrocinio dell’avv. VIVONE PIO DARIO e dell’avv. FORLONI ANTONELLA […]
CONVENUTI
OGGETTO: accertamento diritto di credito.
CONCLUSIONI: rassegnate come in atti.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con tempestivo atto di citazione in riassunzione, ritualmente notificato a controparte il 28/7/2015, F*** in concordato preventivo e in liquidazione, conveniva in giudizio Regione *** allegando e deducendo che:
-il DL n.95/2012, Disposizioni urgenti per l’equilibrio del settore sanitario e misure di governo della spesa farmaceutica, convertito in L. n.135/2012, all’art.15, comma 14, prevedeva che “A tutti i singoli contratti e accordi vigenti nell’esercizio 2012 … per l’acquisto di prestazioni sanitarie da soggetti privati accreditati per l’assistenza specialistica ambulatoriale e per l’assistenza ospedaliera, si applica una riduzione dell’importo e dei corrispondenti volumi d’acquisto in misura percentuale fissa, determinata dalla regione o dalla provincia autonoma , tale da ridurre la spesa complessiva annua, rispetto alla spesa consuntiva per l’anno 2011, dell0 0,5% per l’anno 2012” e via aumentando per i successivi tre anni; la norma prevedeva che la nuova riduzione potesse concorrere con misure di contenimento eventualmente GIA’ adottate dalle Regioni;
-con DGR IX/397 del 2012 la Regione operava una netta distinzione tra comparto pubblico e privato, prevedendo solo per il secondo una decurtazione di 1,5% sul consuntivo di spesa per l’esercizio 2011 in relazione a: “prestazioni a contratto, extra budget, funzioni LR 7/2010 e specifiche contribuzioni ex lege” e disponendo altresì per “ funzioni non tariffate”, oltre a quanto disposto dal citato art.15, una ulteriore riduzione del 7,5% sul 2011 rispetto a quanto definito nell’esercizio 2010; disponeva altresì in relazione agli esercizi 2011 e 2012 per le maggiorazioni tariffarie una analoga riduzione delle risorse del 7,5%, fissando in 230 milioni l’ammontare delle risorse a ciò destinate per gli esercizi 2011 e 2012;
-con due successive DGR IX/4228 e DGR IX/4232, sempre del 2012, la Regione disponeva una ulteriore generale decurtazione del budget destinato agli istituti privati e una specifica decurtazione delle risorse per prestazioni non tariffate per il 2012;
-Regione *** procedeva altresì al fermo amministrativo di € 408.387,00 a garanzia dei danni conseguenti ad illeciti penali oggetto di indagine da parte della P.d.R. di Milano;
-con DGR IX/824 la Regione procedeva a consuntivo ad una ulteriore riduzione delle somme erogate in ordine al precedente esercizio 2012 per circa 4 milioni di euro;
-la F*** aveva quindi presentato un primo ricorso innanzi al TAR Lombardia impugnando la DGR IX/4231 del 2012 ed un secondo ricorso avverso le DRG portanti le ulteriori decurtazioni di risorse applicate dalla Regione per gli esercizi 2011 e 2012;
-con le sentenze nn. 1380/2015 e 1381/2015 l’A.G.A. declinava la propria giurisdizione in favore dell’A.G.O., vertendosi in tema di “pagamento di somme erogate per prestazioni sanitarie in regime di convenzione”;
-F*** aveva quindi proposto nei termini assegnati tempestivo atto di riassunzione;
-Regione *** aveva violato i principi di irretroattività (quanto all’esercizio 2011), e di gradualità della legge statale, nonché la soglia di abbattimento delle risorse prevista dalle norme primarie;
-le decisioni lesive dei diritti di parte attrice erano state emanate in contrasto con le disposizioni della legge statale (DL 95/2012) e della legge regionale n.31/97 (parità tra enti sanitari pubblici e privati, di particolare rilievo nel caso di specie, trattandosi di IRCCS) ed erano state adottate non già con legge regionale, ma con semplice atto amministrativo (le richiamate DGR), in violazione dei principi di gerarchia delle fonti;
-risultava altresì violato il principio di irretroattività dell’azione amministrativa;
-la retroattività assegnata dalle DGR incideva sui diritti di credito perfezionatisi in capo all’ente sanitario per l’esercizio 2011 ed aveva violato il legittimo affidamento che la F*** aveva fatto sui crediti correnti con l’ente territoriale, principio immanente in tutti i rapporti di diritto pubblico (Cass. n.21513/2006; C.d.S. n.3/2012), particolarmente grave nel caso in esame, avendo la procedura concorsuale fondato il piano di riparto, anche, sui crediti maturati verso la Regione in relazione agli esercizi pregressi;
-peraltro, le DGR disciplinanti le decurtazioni in discussione risultavano a propria volta parzialmente in contrasto tra di loro;
-nelle more del procedimento amministrativo innanzi al TAR, la Regione aveva revocato il fermo amministrativo della somma, dando corso alla procedura di liquidazione del dovuto.
Parte attrice, tanto premesso, chiedeva che, previa disapplicazione delle DGR elencate, venisse accertato il proprio diritto a ricevere il pagamento integrale delle prestazioni effettuate nel corso del 2011, ed il pagamento decurtato del solo 0.5% in relazione all’anno 2012, secondo quanto disposto dal DL n.92/2012; chiedeva altresì, non avendo la Regione provveduto nelle more, la condanna di Regione e ASL al pagamento della somma originariamente sottoposta a fermo amministrativo, con condanna di controparte al pagamento delle somme dovute.
Con rituale comparsa di costituzione e risposta Regione *** e ASL di *** si costituivano eccependo e argomentando che:
-doveva ritenersi il difetto di giurisdizione dell’A.G.O., non risultando condivisibile la pronuncia del TAR, peraltro emessa in contrasto con il costante indirizzo di quello stesso Ufficio;
-la decurtazione attuata derivava dall’esercizio di poteri autoritativi ed il pagamento richiesto avrebbe richiesto la demolizione del sistema regionale di spesa, impedendo la previsione di un limite al finanziamento alle strutture accreditate;
-incidendo direttamente sui rapporti di causa, non poteva farsi luogo alla richiesta disapplicazione degli atti amministrativi;
-l’atto di citazione in riassunzione doveva ritenersi inammissibile, poiché le domande dispiegate nella presente sede processuale non risultavano sovrapponibili a quelle contenute nei ricorsi al TAR, volte a non subire decurtazione limitatamente ai crediti derivanti dalle cd. prestazioni non tariffabili e prestazioni con maggiorazioni tariffarie per gli esercizi 2011 e 2012 con impugnazione delle: Delibera n.199/2013 ASL, DGR nn. 4232/2012, 3976/2012 (impugnata limitatamente alle prestazioni non tariffabili e prestazioni con maggiorazioni tariffarie) e 824/2012;
-con l’atto di riassunzione controparte intendeva contestare la totalità del finanziamento pubblico anche per le prestazioni di ricovero e cura e di prestazioni ambulatoriali;
-quanto alla somma oggetto del fermo amministrativo, doveva dichiararsi la litispendenza, trattandosi di somma inclusa nel maggior credito oggetto del procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo pendente tra le stesse parti innanzi al Tribunale di Milano, dott.ssa Boroni, RG n. 57706/2015;
-il potere di programmazione della spesa sanitaria è attribuito alle Regioni e deve essere attuato sulla base delle risorse disponibili, attivando ove necessario meccanismi di riequilibrio che intervengano a consuntivo rispetto alla programmazione a monte (C.d.S. n. 2857/2012);
– non rispondeva al vero che l’ente pubblico avesse violato il principio di parità tra aziende ospedaliere pubbliche e private: il finanziamento per le prestazioni non tariffabili per l’anno 2011 aveva superato , per il San Raffaele, ben 39 milioni di euro, mentre per le altre IRCSS lombarde le somme variavano dai 9 milioni di euro per il Besta ai 29 milioni per il Policlinico San Matteo di Pavia;
– le DRG che disponevano limitazioni di spesa per le prestazioni non tariffate e per maggiorazioni tariffarie non erano state adottate in esecuzione del D.L. n.95/2012, bensì in via autonoma da esso e costituivano espressione di scelte programmatiche regionali; erano frutto di scelte adottate in via diretta ed autonoma dalla Regione, indipendentemente dalle disposizioni normative introdotta con la cd. spending review;
-non era pertinente il richiamo all’affidamento in buona fede dispiegato da controparte, poiché l’apparato amministrativo dell’ente sanitario era, o avrebbe dovuto essere, a conoscenza dei poteri di programmazione e spesa della Regione e degli atti di regolamentazione generale dalla stessa adottati.
Tanto premesso, parti convenute chiedevano, in via preliminare, dichiarare il difetto di giurisdizione del giudice ordinario; in subordine, sempre in via preliminare, insistevano per declaratoria di inammissibilità del giudizio di riassunzione; in via ulteriormente subordinata, chiedevano dichiararsi la parziale litispendenza della domanda afferente il fermo amministrativo della somma contestata per funzioni non tariffabili dell’esercizio 2011, con adozione di ogni conseguente statuizione; nel merito chiedevano il rigetto di tutte le domande attoree, con vittoria delle spese di lite.
II
Come accennato in narrativa, la Regione lamenta la carenza di giurisdizione del giudice adito, avendo la pretesa azionata ad oggetto, sostanzialmente, le modalità di erogazione del finanziamento adottate dall’ente pubblico, ed in particolare, l’an delle decurtazioni apportate al volume del finanziato e del finanziabile.
In proposito deve convenirsi con la Regione che la giurisdizione debba essere valutata con riferimento al petitum sostanziale, da individuare non tanto e non solo nella concreta pronuncia che si chiede al giudice, ma anche in funzione della causa petendi, cioè dell’intrinseca natura della situazione giuridica dedotta in giudizio in relazione ai fatti costitutivi allegati.
Il TAR, nelle pronunce richiamate, ha ritenuto che la determinazione della misura del contributo pubblico ed il rispetto degli obblighi assunti attengono a posizioni di diritto soggettivo di cui può conoscere solo la giurisdizione ordinari.
Anche se la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha affermato che “la giurisdizione della G.A. coinvolge il legittimo esercizio dell’apprezzamento discrezionale circa l’an, il quid ed il quomodo dell’erogazione “(v. Cass SU 1176/13), non è parso opportuno sollevare la questione di ufficio, considerato: che il presente giudizio non costituisce pedissequa riassunzione dei processi originariamente incardinati (risultando la controversia dilatata su ulteriori settori di contribuzione); che sussiste parziale litispendenza, di cui si dirà infra; che le convenute eccipienti non ritenevano né di promuovere regolamento di giurisdizione ex art. 41 c.p.c., né di impugnare le pronunce del TAR declinanti la giurisdizione del giudice amministrativo, che passavano in giudicato.
Inquadrata alla luce della ritenuta giurisdizione, va quindi considerato come F*** si dolga in questa sede della fase esecutiva del rapporto di sovvenzione e dell’inadempimento degli obblighi cui è subordinato il concreto provvedimento di attribuzione delle risorse finanziarie, sicchè può riconoscersi la giurisdizione dell’A.G.O. (v. Cass. SU 15867/11 e 2511/15 ord.).
Tale impostazione segna anche il limite della valutazione demandata a questo giudice che può solo considerare il petitum così devoluto, ossia “l’attribuzione delle erogazioni connesse all’espletamento, per gli esercizi 2011 e 2012, delle prestazioni sanitarie per i titoli indicati nelle impugnate delibere, fondato sulla posizione giuridica costituita dal diritto alla corresponsione delle somme dovute in conseguenza della effettuazione di prestazioni sanitarie in regime di convenzione con la Regione ***” (cf. sentenza TAR Lombardia n.1381/2015), sia stata correttamente effettuata.
La risposta, ad eccezione di quanto verrà specificato per l’annualità pregressa (2011) all’adozione delle cennate delibere, emanate del 2012, non può che essere positiva.
Si osserva in premessa che l’azione promossa da F*** che, contestando la pretesa creditoria fatta valere da Regione e ASL *** con le Delibere richiamate in narrativa, ha chiesto di vedersi riconoscere per il credito per le prestazioni sanitarie da rendere per l’anno 2012 (e per il successivo triennio) senza decurtazioni ulteriori a quelle imposte dal D.L. n. 95/2012, “Disposizioni urgenti per l’equilibrio del settore sanitario e misure di governo della spesa farmaceutica”, convertito in L. n.135/2012, risulta quindi volta all’accertamento positivo del credito vantato da F*** nei confronti della P.A.
Quanto alle decurtazioni portate dall’ente pubblico per le cd. funzioni non tariffabili e maggiorazioni tariffarie, si osserva quanto segue.
Le cd. funzioni non tariffabili cono categoria creata dall’ordinamento per consentire alla Regione di sovvenzionare alcune specifiche prestazioni sanitarie (individuate con apposito provvedimento) mediante l’assegnazione di un ulteriore riconoscimento economico per il loro svolgimento, finalizzato a coprire i costi fissi aggiuntivi indefettibilmente connessi ad una data e specifica tipologia di prestazione sanitaria , ovvero i costi derivanti dall’alto standard qualitativo del sevizio erogato.
Le cd. maggiorazioni tariffarie, introdotte solo dal Legislatore reginale lombardo, ex L.R. n.34/2007, ora art. 27 bis L.R. n.33/2009, appaiono funzionali ad offrire un sostegno economico agli IRCCS in ragione della complessità dell’organizzazione, maggiore rispetto agli istituti di cura, finalizzata anche ad attività di ricerca e di didattica, oltre che di cura.
Ritiene il Tribunale che la lettera e la ratio della disciplina normativa e regolamentare depongano nel senso di veri e propri finanziamenti dello Stato e delle Regioni per sostenere l’attività scientifica e di sviluppo dell’innovazione tecnologica già istituzionalmente propria degli IRCCS.
Non a caso, sono previsti quali criteri per l’erogazione (tra gli altri) lo sperimentato valore dell’Istituzione proponente sotto l’aspetto scientifico ed assistenziale, la sua capacità di eseguire con successo progetti scientifici, la capacità di formazione, diffusione del metodo e delle relative conoscenze.
Gli IRCCS sono infatti Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, cioè strutture ospedaliere nelle quali vengono svolte attività di ricerca clinica e di studio, a fianco della semplice gestione dei servizi sanitari.
Gli importi riconosciuti da Regione *** a tale titolo costituiscono l’esito di una scelta discrezionale compiuta alla P.A. nell’esercizio legittimo del proprio potere decisionale di governo della spesa sanitaria.
Si tratta, invero, di benefici che non presentano natura di corrispettivo di singole prestazioni sanitarie; esulano dal concetto di sinallagma contrattuale, costituendo erogazioni aggiuntive rispetto a quelle già riconosciute per servizi ambulatoriali e di ricovero eseguiti dalle strutture sanitarie, previste e disciplinate contrattualmente in convenzione e beneficianti di un corrispettivo predeterminato dal nomenclatore tariffario.
La natura di sovvenzione e non di corrispettivo è stata del resto affermata con costanti pronunce dell’A.G.A. (cfr. TAR Milano, n.1387/2017).
Ne deriva che “Nell’attuale assetto ordinamentale le Regioni discrezionalmente programmano gli assetti organizzativi ed i livelli di assistenza sulla base delle risorse disponibili … alla Regione spetta ponderare, da un lato, la pretesa degli assistiti alle prestazioni sanitarie; dall’altro la necessità di rispettare determinati equilibri finanziari (che non possono contare su risorse illimitate), gli interessi imprenditoriali degli operatori privati ed, infine l’efficienza delle strutture pubbliche, tutti interessi fondamentali meritevoli di tutela … pertanto l’Amministrazione non è tenuta a corrispondere una somma corrispondente all’intera spesa che le strutture devono sostenere per le funzioni non tariffabili, ma può discrezionalmente determinare di anno in anno l’aumento della sovvenzione discernendo di volta in volta come contribuire congruamente al funzionamento degli stessi”.
Del tutto analogamente, le c.d. maggiorazioni tariffarie previste all’epoca dall’art. 25 bis L. 33/09 (introdotto dalla L.R. 7/10) sono un’ulteriore forma di sovvenzione, pur se strutturata come maggiorazione delle tariffe per prestazioni di ricovero e cura (già diversamente remunerate dal SSN), attribuita agli IRCCS convenzionati con le facoltà universitarie di medicina e chirurgia, al fine di sostenere i maggiori costi di gestione degli enti che svolgono attività di ricerca, senza alcun profilo di corrispettività diretta con gli stessi (es. monte ore dedicato alla didattica o alla ricerca dal personale della struttura); trattasi di erogazioni una tantum, slegate dal numero e dalla tipologia delle singole cure erogate ai pazienti.
Tra i costi di gestione devono essere ricompresi quelli diretti a realizzare e mantenere un elevato livello tecnologico, finalizzato all’attività di ricerca e sperimentazione.
La previsione della parametrazione delle maggiorazioni a fattori di costo aggiuntivi quali posti letto, numero di studenti frequentanti il polo didattico, personale dedicato alla didattica, trova ragione nei tempi operatori più lunghi, nella degenza media più lunga. nel numero di prestazioni diagnostiche più elevato, nella necessità della duplicazione e innovazione delle attrezzature in dotazione
Tra le due forme di finanziamento e sovvenzione aggiuntiva rispetto alla remunerazione dell’attività sanitaria svolta -già altrimenti riconosciuta sulla base dei criteri normativamente definiti, secondo tariffe per ogni singola prestazione di ricovero e cura- vi è una evidente identità di funzione, essendo direttamente finalizzate per discrezionale volontà dell’ente regionale, a sostenere i costi di innovazione, anche tecnologica, per esigenze di sperimentazione e di didattica in favore di poli di ritenuta eccellenza sanitaria.
Tanto premesso, effettuate le doverose puntualizzazioni, fatta applicazione dei principi enunciati, ritiene il Tribunale che non ricorrano ragioni per procedere alla disapplicazione delle DRG e dei conseguenti provvedimenti ASL oggetto di contestazione attorea.
Presupposto di qualsivoglia valutazione è che la Regione deve garantire l’equilibrio economico finanziario di sistema ed ha a disposizione, retrocesse dallo Stato, risorse finanziarie non illimitate.
In tale ambito può e deve esplicarsi il potere discrezionale dell’ente territoriale deputato ex lege alla allocazione delle risorse.
Nel caso in esame le DGR contestate costituivano applicazione migliorativa di criteri restrittivi di spesa previsti con legge statale (D.L. n. 95/2012, “Disposizioni urgenti per l’equilibrio del settore sanitario e misure di governo della spesa farmaceutica”, convertito in L. n.135/2012), ampliando la percentuale di abbattimento richiesta come soglia minima di virtuosità di spesa, imposta dal Legislatore nazionale alle Regioni.
Non coglie nel segno la doglianza attorea relativa all’avvenuta adozione delle misure attuative della L. n.95/2012 con DRG e non con legge regionale, posto che gli atti emanati si configurano quali atti di programmazione generale, portanti regole comuni, rivolte a tutti gli operatori di settore e costituenti puntuale esecuzione amministrativa delle disposizioni impartite dalla normativa primaria.
Parte attrice neppure allegava che la decurtazione incidesse sul diritto di cura dei cittadini, ledendo la qualità ed il numero delle prestazioni complessivamente rese alla collettività.
Quanto alla dedotta lesione del principio di parità di trattamento tra enti sanitari pubblici e enti convenzionati, va rilevato che l’attuazione regionale non disattendeva sul punto le disposizioni contenute nella L. n. 95/2012.
Non ravvisa dunque il Tribunale l’illegittimità per violazione degli artt. 15 DL n.95/2012, 1 L.R. n.31/1997 degli atti di cui parte attrice chiede la disapplicazione.
La caratura imprenditoriale di F*** e la veicolazione delle DRG mediante rituale -trattandosi di atti amministrativi a regolamentazione generale- pubblicazione sul BURL consente di ritenere non pertinente il richiamo attoreo alla dedotta violazione dell’art. 7.L. 241/1990 per mancata partecipazione del privato al procedimento amministrativo.
Si consideri ancora che non vi era allegazione in atti che a parte attrice, nel ricalcolo di spesa, fossero stati utilizzati dalla Regione parametri di calcolo diversi da quelli applicati agli altri enti sanitari convenzionati, pubblici e privati.
Osserva il Tribunale che non solo difetta in atti prova, e finanche allegazione, dell’eventuale adozione di maggiori erogazioni a favore del comparto pubblico, ma che, a contrario, è emersa in causa l’evenienza opposta; Regione ha infatti allegato circostanze, non contestate ex adverso, che portano ad affermare che F*** avesse ricevuto negli anni passati contributi in misura maggiore, ed esponenziale, rispetto agli altri IRCCS di Lombardia (ad eccezione degli Spedali di Brescia).
Non si comprende dunque su quali parametri dovrebbe fondarsi la pretesa illegittimità per violazione di legge, e per irragionevolezza degli atti amministrativi contestati.
Infine, quanto sopra argomentato in ordine alle Delibere contestate, deve essere richiamato anche in relazione alla decurtazione di contribuzioni per prestazioni sanitarie di ricovero e ambulatoriali, da ritenersi legittima secondo i parametri evocati, e quindi ammissibile, nella condivisibile prospettiva di razionalizzazione e contenimento dei tetti complessivi di spesa sanitaria.
Non può poi sottacersi che la domanda di annullamento anche delle decurtazioni operate per tali ulteriori voci, costituente un quid novum rispetto a quella dispiegata nell’originario giudizio instaurato innanzi al TAR, risulta priva di articolate allegazioni e prova; non può dunque accedersi alla domanda attorea neppure sotto tale residuale profilo.
A margine, si osserva che l’infondatezza della domanda attorea è vieppiù manifesta ove si consideri che per l’esercizio 2012 la F*** ha operato per soli 131 giorni (essendo intervenuta in corso di esercizio la cessione delle attività in bonis ad altra società) e, ciò nonostante, avanzava domanda di riconoscimento di contribuzione per l’intero esercizio.
III
A differente determinazione deve invece giungersi in ordina alla lamentata decurtazione del budget in precedenza assegnato per l’anno 2011.
Il tema della retroattività in diritto amministrativo e, in particolare, degli effetti del provvedimento amministrativo, pur essendo argomento di rilievo, è stato oggetto di pochi interventi in dottrina e in giurisprudenza e richiede, dunque, alcune puntualizzazioni.
La questione deve essere inquadrata nel più ampio problema dell’efficacia del provvedimento amministrativo nel tempo.
La giurisprudenza amministrativa ha più volte posto in rilievo che la regola di irretroattività dell’azione amministrativa è espressione dell’esigenza di garantire la certezza dei rapporti giuridici, oltreché del principio di legalità ex art. 97 Cost.; il principio costituzionale evocato, segnatamente in presenza di provvedimenti limitativi della sfera giuridica altrui, impedisce di incidere unilateralmente e con effetto ex ante sulle situazioni soggettive del privato.
Ulteriore limite alla retroattività, in presenza di provvedimenti amministrativi che rivestono valenza regolamentare in quanto diretti a trovare applicazione ripetuta nel tempo ad un numero indeterminato di fattispecie, discende dalla regola di irretroattività degli atti a contenuto normativo dettata dall’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale. Detta regola può ricevere deroga per effetto di una disposizione di legge pari ordinata e non in sede di esercizio del potere regolamentare che è fonte normativa gerarchicamente subordinata. Ne consegue che solo in presenza di una norma di legge che a ciò abiliti, gli atti e regolamenti amministrativi possono avere efficacia retroattiva.
Le su riferite conclusioni trovano codifica nell’ art. 21 bis della legge n. 241/1990 introdotto dall’art. 14 della legge n. 15/2005: è ivi stabilito che “il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati acquista efficacia nei confronti di ciascun destinatario con la comunicazione allo stesso effettuata” o qualora la comunicazione non sia possibile mediante forme di pubblicità idonee stabilite dall’Amministrazione medesima.
Tale impostazione deve tener tuttavia conto delle modifiche normative intervenute nel corso degli anni, che hanno codificato l’istituto del procedimento amministrativo e degli accordi cd. pubblicistici e che hanno statuito la possibilità di impiego di un’ampia gamma di modalità di svolgimento dell’attività di cura e tutela degli interessi pubblici, soprattutto quando questi entrino in conflitto con gli interessi privati. Le articolate novità normative succedutesi negli ultimi anni, corrispondenti ad un più complesso modo di intendere la realtà giuridica in cui opera la Pubblica Amministrazione, parrebbero indirizzate, nella prassi, ad un diverso modo di intendere e di utilizzare la funzione dell’istituto, che da mera eccezione ad una regola o ad un principio, potrebbe, a date condizioni, inquadrarsi tra le possibili tecniche di gestione degli interessi coltivati dall’Amministrazione nell’ambito delle funzioni ad essa attribuite.
Una applicazione di rilievo riguarda proprio la retroattività in materia di programmazione sanitaria ad opera delle Regioni.
L’ipotesi va ricondotta alla cd. retroattività per disposizione espressa o discrezionale.
Ci si deve dunque chiedere se siano legittime le determinazioni dell’Ente Regione che, emanate in corso d’anno, stabiliscano a consuntivo i tetti massimi di spesa applicabili, in via retroattiva, anche alle prestazioni già rese dalle strutture private accreditate nel corso di esercizi precedenti (art. 8, comma 7, dlgs 30/12/1992, n. 502).
Le Regioni, nell’esercitare tale potestà programmatoria, godono, come già ricordato, di ampio potere discrezionale, onde bilanciare interessi diversi: l’interesse pubblico al contenimento della spesa, il diritto degli assistiti alla fruizione di prestazioni sanitarie adeguate e quindi la tutela del loro diritto alla salute (art. 32 Cost.), le legittime aspettative degli operatori privati che ispirano le loro condotte ad una logica imprenditoriale e l’assicurazione dell’efficienza delle strutture pubbliche, che costituiscono un pilastro del nostro sistema sanitario di tipo universalistico e non più mutualistico, come era in passato.
Il principio della necessaria programmazione sanitaria è attuato con l’adozione di un piano annuale preventivo, finalizzato ad un controllo tendenziale sul volume complessivo della domanda quantitativa delle prestazioni mediante la fissazione dei livelli uniformi di assistenza sanitaria e l’elaborazione di protocolli diagnostici e terapeutici, ai quali i medici di base sono tenuti ad attenersi, nella prescrizione delle prestazioni. Tale piano preventivo, previsto inizialmente per le sole aziende ospedaliere (articolo 6, comma 5, l. 23/12/94, n. 724), è stato esteso dall’articolo 2, comma 8, della l. finanziaria 28/12/95, n. 549 e dalle successive leggi di bilancio a tutti i soggetti, pubblici e privati, accreditati.
Il principio della pianificazione preventiva è stato poi confermato, con significative modifiche, proprio dal DL n.92/2014. Il modello di programmazione sanitaria vigente prevede che la P.A. eserciti la potestà programmatoria mediante un atto obbligatorio, a carattere generale ed autoritativo, affiancato ad una negoziazione su base territoriale.
Come detto, il problema importa in primo luogo la necessità di coniugare il diritto alla salute degli individui e la prescritta programmazione economica del settore. In giurisprudenza costituzionale, si afferma che il diritto alle prestazioni sanitarie si presenta finanziariamente condizionato perché il costo delle prestazioni è posto a carico dell’erario pubblico e sono limitate le risorse per far fronte alla domanda di cure da parte degli assistiti dal Servizio Sanitario Nazionale (Corte Cost. n.94/2009). L’autonomia dei vari soggetti operanti nel SSN deve necessariamente tener conto delle risorse esistenti e delle esigenze di risanamento del debito pubblico, prestabilendo i volumi massimi di prestazioni erogabili; nondimeno, secondo l’insuperabile indicazione del Giudice delle Leggi, il diritto alla salute può essere condizionato purché non se ne scalfisca il nucleo essenziale (Corte Cost. n.509/2000).
A causa dei sempre maggiori vincoli di spesa, il carattere autoritativo della programmazione sanitaria si è progressivamente inasprito, spingendo gli enti alla determinazione tardiva e in taluni casi, retroattiva, del budget di spesa.
Per un primo indirizzo giurisprudenziale, la fissazione tardiva e retroattiva dei tetti di spesa è illegittima, perché impedisce agli operatori del SSN di programmare la propria attività. La retroattività che modifichi in pejus la disciplina dell’anno precedente finisce per ledere l’autonomia e l’integrità delle scelte d’impresa, ed in definitiva il loro legittimo affidamento. Ne risulterebbe alterato l’intera sistema concorrenziale in tema di sanità. In definitiva, sarebbe illegittimo l’atto retroattivo che riduca i limiti di rimborso annuali a molta distanza dalla entrata in vigore della disciplina di riferimento.
Per altro indirizzo prevalente, la fissazione tardiva e retroattiva di limiti di spesa e quindi al rimborso non è illegittima, purchè sia effettuata, ancorchè in fase avanzata, non oltre la scadenza dell’esercizio di riferimento, perché non impedisce agli interessati di disporre comunque di una disciplina regolatrice della loro attività. Le strutture private, che erogano prestazioni per il SSN nell’esercizio di una libera scelta, potranno aver riguardo – finché non sia adottato un provvedimento definitivo dei tetti – all’entità delle somme contemplate per le prestazioni dei professionisti o delle strutture sanitarie dell’anno precedente, diminuite della riduzione della spesa sanitaria effettuata dalle norme finanziarie relative all’anno in corso (cfr. C.d.S. nn. 4/2012, 4301/2008; 499/2003).
La tutela dell’affidamento degli operatori privati richiede che le decurtazioni imposte al tetto del finanziabile, ove retroattive, siano contenute, salvo congrua istruttoria e adeguata esplicitazione all’esito di una valutazione comparativa, nei limiti imposti dai tagli stabiliti dalle disposizioni finanziarie conoscibili dalle strutture private, e purchè venga attuato all’inizio e nel corso dell’anno colpito dalla decurtazione.
In giurisprudenza, si ritiene, infine, che l’annullamento dell’atto presupposto comporti la caducazione degli atti conseguenziali; in particolare, se l’atto conseguenziale non è autonomo ed è di mera esecuzione, ovvero, non solo è un presupposto di validità dell’atto successivo, ma di esistenza di esso, viene certamente travolto. Laddove invece tale effetto non può prodursi data la minore intensità del nesso tra i due provvedimenti, oppure quando fra l’atto presupposto e conseguenziale si frapponga un terzo atto che sia frutto di scelta discrezionale della P.A., l’annullamento di tali atti può avvenire solo d’ufficio in via di autotutela, o richiedere un’autonoma impugnativa giurisdizionale da parte del soggetto che assume di essere leso. In tali ipotesi si tende a preferire la soluzione di una doppia impugnativa (dell’atto presupposto e conseguenziale), pena l’acquiescenza circa l’atto viziante presupposto e la conseguente dichiarazione di inammissibilità del ricorso contro l’atto conseguenziale
Fatto buon governo dei principi richiamati, non può dunque che escludersi la legittimità delle DGR in contestazione nella parte in cui vanno ad incidere sul tetto di spesa sanitaria assegnato all’istituto convenzionato per un esercizio annuale già chiuso.
Fondate perplessità, sotto un profilo civilistico, desta infatti la scelta, di cui alla deliberazione di GR IX/397 del 2012, di applicare a posteriori decurtazioni tariffarie già riconosciute ed assegnate per l’anno 2011, ben potendo considerarsi, appunto sotto un profilo civilistico di esecuzione delle deliberazioni, già maturato all’atto dell’adozione della delibera qui contestata il diritto del privato alla percezione delle somme con l’avvenuto riconoscimento e l’assegnazione di esse in epoca antecedente alla decisione di decurtare il budget.
Non convince il richiamo di parti convenute, se ben se ne intendono le linee difensive, al fatto che il rapporto con la struttura sanitaria non fosse ancora chiuso nel 2012 in relazione all’esercizio precedente, permanendo il diritto dell’ente pubblico di intervenire a consuntivo sul rapporto, da considerarsi per ciò solo non esaurito.
Invero, va sottolineato, in primo luogo, che l’atto regolamentare in contestazione risulta adottato in esecuzione di una norma primaria, emanata nel 2012, il più volte richiamato D.L. n. 95/2012, “Disposizioni urgenti per l’equilibrio del settore sanitario e misure di governo della spesa farmaceutica”, convertito in L. n.135/2012, che disponeva decurtazioni sul tetto complessivo di spesa per l’esercizio in corso e per il triennio successivo.
Nulla disponeva per le attività esaurite nell’anno precedente. Ne deriva l’illegittimità sotto tale specifico profilo della cennata DRG e degli atti ad essa consequenziali per violazione di legge .
Per altro verso, ove si volesse intendere, come preteso dalla Difesa di Regione ***, che la cennata DGR IX/397 del 2012 fosse stata adottata in via del tutto autonoma dalla normazione primaria del 2012, e costituisse una manifestazione indipendente dell’uso dei poteri discrezionali regionali in punto di virtuosa amministrazione della spesa sanitaria regionale, si osserva che l’atto non si sottrarrebbe ad un diverso vizio di legittimità.
Invero, non si intende qui contestare il potere della P.A. di agire in sede di consuntivo, eventualmente rivisitando i tetti di spesa assegnati e corrisposti per l’esercizio precedente; nondimeno, il sindacato a consuntivo e le conseguenti decurtazioni non potrebbero che esplicarsi nel rispetto delle regole poste dalla normativa primaria e regolamentare già in vigore nell’esercizio di riferimento e solo nell’ambito di esse, condizione pacificamente non assolta nel caso in esame.
Una determinazione di segno contrario rischierebbe di sciogliere l’azione amministrativa dal vincolo di legalità, quanto meno sotto il profilo della caratura temporale degli effetti dell’atto, presupponendo l’attribuzione alla P.A. del potere di incidere su posizioni soggettive, in precedenza riconosciute mediante l’emanazione di atti legittimamente adottati, in relazione a rapporti già esauriti ed in assenza di norme primarie fondanti l’eccezione (ossia espressamente e specificamente attributive di efficacia retroattiva all’atto amministrativo).
La domanda di accertamento del diritto di credito di F*** in relazione alle prestazioni sanitarie rese nel 2011 senza applicazione delle decurtazioni successivamente disposte deve, pertanto, essere accolta.
IV
Risultava ab origine fondata l’eccezione di litispendenza ritualmente sollevata da parti convenute in relazione alla domanda attorea di accertamento del diritto di credito di 408.387,00 euro, somma sottoposta a fermo amministrativo posto a garanzia dei danni conseguenti ad illeciti penali oggetto di indagine da parte della P.d.R. di Milano, pendendo innanzi ad altro giudice di questa Sezione procedimento in precedenza instaurato per la medesima questione, presentante identità di petitum e di causa petendi (D.I. n.18141/2015, opposto come da proc. R.G. n.57706/2015, dott.ssa Boroni).
Nelle more del giudizio le parti davano atto dell’intervenuta revoca del provvedimento di vincolo e dell’avvio delle procedure di liquidazione della somma, ragione per cui nel procedimento preventivamente iscritto era stato assegnato da quel giudicante un congruo rinvio a fini conciliativi.
Preso atto, ad oggi, della mancata definizione transattiva della relativa vertenza, va dunque dichiarata nel presente procedimento la litispendenza a mente dell’art.39 c.p.c., con conseguente cancellazione della relativa domanda.
V
La soccombenza reciproca e la relativa novità della questione impongono ex art. 92 c.p.c. la compensazione delle spese di lite tra le parti.
P.Q.M.
il Tribunale di Milano, definitivamente pronunciando, ogni contraria domanda ed eccezione rigettata, così provvede:
1) dichiara il diritto di F*** al pagamento del corrispettivo delle prestazioni sanitarie rese nell’anno 2011 senza le decurtazioni applicate con le DGR richiamate in narrativa;
2) dichiara la litispendenza in relazione alla sola domanda dispiegata da F*** di accertamento del diritto di credito di 408.387,00, nei limiti e con le statuizioni di cui in narrativa;
3) rigetta ogni ulteriore domanda dispiegata in atti;
4) dichiara le spese di giudizio compensate tra le parti.
Sentenza per legge esecutiva.
Milano, 10/7/2018
Il Giudice

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